mercoledì 23 agosto 2017

Il Libano - un paese in pace

Un’esperienza di focolare temporaneo


Ore 15,30 del 20 luglio 2017, arrivo a Beiruth accolto da Roland focolarino francese che portandomi dall’ aeroporto al Centro Mariapoli di Ain Aar mi dà le prime e aggiornate informazioni sul Libano. Un paese del Medio-oriente in cui tira vento di libertà, circondato da stati islamici in grande turbolenza e da Israele col quale c’è una intesa-tregua assai difficile. Si può dire che il Libano è un paese in pace in cui i cristiani con grande dignità portano le cicatrici di una recente lunga e infernale guerra (1975-2006) ma che tuttavia sanno, con pazienza, essere un elemento di equilibrio nelle relazioni dialogiche in particolare coi mussulmani. Molti conflitti sanguinosi sono avvenuti durante la guerra che ha colpito Beirut e, in particolare, nei vari quartieri mussulmani e cristiani. La gente comune poi quando conversa passa con disinvoltura dall’ arabo al francese e inglese. Per quanto mi riguarda me la sono cavata con un po’ di francese imparato a scuola.
Noi dell’ équipe del focolare temporaneo, prima della Mariapoli che si è svolta al nord del Libano (23-29 luglio), abbiamo fatto visite e incontri per meglio conoscere il territorio: cena nei focolari, partecipazione coi giovani alla GMG Maronita, visita alla grande Moschea di Beiruth, al santuario della Madonna del Libano, all’Irap (un centro di eccellenza  che ispirandosi alla spiritualità dell’unità si prende cura della riabilitazione e dell’ inclusione  dei sordomuti), la
valle sacra - abitata nel medioevo e tutt’ora da eremiti-, le grotte, la visita a Mons. Armando Bortolaso ammalato, vescovo emerito di Aleppo, che dal suo letto continua ad essere segno di unità tra vescovi di vari riti ed esponenti della religione mussulmana in Siria. Ancor’oggi  accompagna spiritualmente tante persone e tra queste parecchi giovani.
Poi la Mariapoli al nord del Libano: 300 presenze, famiglie, un gruppo di giovani provenienti anche dalla Siria e dall’ Algeria. Il tema che dava il là è stato “osare la pace” con testimonianze di famiglie cristiane e mussulmane che trovano nel dialogo col Movimento una luce nuova per rileggere il Vangelo e il Corano, interpretandolo in chiave antropologica.
In seguito visita alla moschea di Sidone.  Ci spingiamo poi ancora più a Sud nelle terre sciite di Hezbollah, sopra Tiro, nel villaggio di Kharthoum. Siamo stati invitati a un incontro islamo-cristiano dalla gente del posto che nel 2006, “di fronte alla imperiosa avanzata israeliana, era dovuta scappare senza portare nulla, salvo qualche vestito, poche suppellettili… Per 40 giorni questa gente era stata ospitata in un centro congressi dei cristiani ad Ain Aar, sopra Beirut. Aveva così mantenuto la sua dignità, che oggi è diventata riconoscenza e volontà di dialogo” (Zanzucchi M., La casa, il rifugio, 11 agosto, Città Nuova on line 2017).

Si è scelto come centro operativo per la nostra attività una scuola nel Sud del Paese sulle colline di Sidone a  Myeh w Myeh. “Dal 1985 al 1992, durante la guerra civile, i suoi tremila abitanti cristiani erano stati costretti a fuggire a Nord per l’invasione dei profughi palestinesi. La metà di loro è tornata dopo la lunga apnea di sette anni, mentre l’altra metà aveva trovato casa in Canada, in Francia, a Beirut, altrove” (Zanzucchi M.).
A Myeh w Myeh abbiamo costituito quattro équipe volte a incontrare ragazzi e i giovani nelle mattinate e nelle serate; nei pomeriggi invece si raggiungevano gli ammalati nelle case e in ospedale. Abbiamo trovato nelle famiglie del posto una religiosità popolare molto viva che sostiene questa gente nelle sofferenze e nelle prove. Alcuni ragazzi, famiglie e giovani e in particolare il parroco greco-cattolico di Myeh w  Myeh  sono rimasti profondamente toccati dalla presenza di Gesù tra noi.
Che cosa ho potuto sperimentare personalmente in questa esperienza di focolare temporaneo? La gioiosa sorpresa che Gesù in mezzo opera e tocca i cuori di giovani che sentono di dover fare delle scelte decisive nella  loro vita, di ragazzi che scoprono la felicità del dare e della reciprocità, di genitori che si sentono spinti dalla spiritualità dell’unità ad educare con più amore i figli, di sacerdoti in ricerca che scoprono la luce del carisma dell’unità e sentono la vocazione a far parte dell’Opera di Maria per rispondere a una chiamata di Dio e per un  servizio ecclesiale più concreto. 
In Mariapoli poi ho potuto raccontare la storia della mia vocazione e di come sono stato aiutato dalla spiritualità di don Bosco, illuminata da quella di Chiara Lubich, a diventare educatore e scoprire la gioia del vangelo coi giovani e le rispettive famiglie. Questa esperienza che ho vissuto in Libano è stata caratterizzata da colloqui con genitori che hanno voluto confrontarsi come educare gli adolescenti e i giovani in ricerca.

don Patrizio Sinigaglia s.d.b.

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