venerdì 24 novembre 2017

Preghiera e dialogo richiedono profondità d’animo

Roma, 23 novembre 2017.

INSIEME PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO

L’iniziativa di questo corso accademico parte dai francescani (IFS – Istituto Francescano di Spiritualità), ma s’incontra subito con i focolarini (IUS – Istituto Universitario Sophia) e INSIEME collaborano. Emergono inaspettatamente i percorsi che tracciano una cultura più vitale, concreta e attinente alla vita; una cultura che fa storia. L’iniziativa dell’IFS che si è focalizzata sul tema della preghiera nelle religioni, è per lo IUS un invito a nozze, avendo già nel suo programma accademico dei corsi sull’argomento, frequentati anche da studenti di altre religioni.


L
Mons. Luigi Padovese, vescovo
'Istituto Francescano di Spiritualità (IFS) della Pontificia Università Antonianum di Roma, dopo la barbara uccisione di mons. Luigi Padovese avvenuta in Turchia nel 2011, ha istituito a suo nome una Cattedra di Spiritualità e di Dialogo Interreligioso. Per tanti anni Mons L. Padovese ha servito l’Istituto di Spiritualità prima di essere nominato vescovo, ed era doveroso tener viva la sua memoria con questa cattedra. Quest’anno, infatti, questa Cattedra offe una serie di conferenze sulla preghiera nelle religioni (Islam, Ebraismo, Induismo). Ma la novità è che la programmazione del corso è stata realizzata in collaborazione con l’Istituto Universitario Sophia (IUS) che ha sede a Loppiano (Firenze). Per questo motivo, come moderatore è stato scelto il prof. P. Theo Jansen, docente in entrambi gli istituti accademici.

Professori: Paolo Frizzi, Theo Jansen, Roberto Catalano
In apertura del corso, giovedì 23 novembre due docenti allo IUS, Roberto Catalano e Paolo Frizzi, hanno esposto un qualificato contributo sull’aspetto della preghiera, ma anche sul ruolo che hanno i movimenti ecclesiali nel dialogo interreligioso. I cento studenti convenuti le hanno ascoltate con grande interesse intervenendo anche con domande ben pertinenti, come: “Cosa si fa se un credente di una di queste religioni vuole passare al cristianesimo; il dialogo non diventa proselitismo?”. Questi due professori, che tengono questi corsi, hanno onestamente parlato delle difficoltà, ma anche, sulla base della loro esperienza, hanno delineato i tratti salienti che hanno portato al rispetto dell’altro e quell’interrogativo di fondo che, in ambito religioso, richiede ad ognuno coerenza e profondità.

 
Il preside dell’IFS, fr. Luca Bianchi ofmcap, si è dimostrato particolarmente soddisfatto perché è stato ampiamente dimostrato che alla base di qualsiasi dialogo interreligioso occorre una dimensione vitale radicata in una spiritualità. Solo così si potrà passare ad un dialogo di livello culturale e accademico.

In questo primo incontro si è verificato l’auspicio che il prof. Piero Coda, preside dello IUS, aveva espresso nel suo messaggio per questa occasione: “In felice sinergia tra le nostre due istituzioni accademiche possiamo offrire un contributo piccolo, ma sincero, alla costruzione di quella cultura dell’incontro, animata dalla mistica del dilatare la nostra interiorità e del camminare insieme in adesione alla volontà di amore e di pace di Dio, cui ci sollecita il magistero di gesti e parole di Papa Francesco”.
Theo Jansen e Mariano Steffan
Per informazioni: www.antonianum.eu

martedì 21 novembre 2017

I giovani consacrati sono attratti dal Sinodo sui giovani

Roma (Alphonsianum),12 novembre 2017.

Anche la Vita consacrata

è chiamata a riflettere

sul Sinodo dei giovani


Nell’aula magna dell’Università alfonsiama consacrate e religiosi studenti delle diverse facoltà pontifice s’incontrano per conoscere e riflettere sul tema dei giovani: Fede e discernimento vocazionale. Il loro interesse si è concluso con un reale coinvolgimento. L’invito a ritrovarsi era partito da un gruppo di giovani religiosi che s’incontrano regolarmente, e vi ha aderito un folto gruppo di giovani studenti (ragazze e ragazzi consacrati) che studiano a Roma nel diversi Collegi romani.

P. Donato e Matilde
È stata una sorpresa anche per gli organizzatori che non si aspettavano di trovarsi davanti ad una sala dell’Università alfonsiana dove ordinariamente si svolgono la difesa delle tesi di dottorato, completamente gremita di giovani religiosi dei diversi paesi che attualmente studiano nel collegi romani. All’appuntamento suore e religiosi venivano in gruppo ed è stato un fenomeno sorprendente. La sala prevista in antecedenza non poteva contenerli e al momento del Break le vettovaglie erano insufficienti, ma ogni carenza e insufficienza è stata supplita dalla generosità della casa ospitante, cambiando immediatamente sala e ricorrendo alle provviste di chi vi alloggia.

Una breve panoramica dei giovani pervenuti ha rivelato che non erano italiani: quindi una internazionalità ben rappresentata, mentre l’Italia era presente, si e no, per il 7%. Oltre ai paesi di provenienza, anche le famiglie religiose rappresentate erano numerose. Roma offre questa pluralità così multiforme, ma prima d’ora non si sapeva come raggiungerli tutti.

 
Dietro a questa numerosa partecipazione c’è anche qualcosa di misterioso. «Da mesi – ha affermato p. Donato Cauzzo camilliano – pregavo per la buona riuscita di questo incontro ed è per me misterioso che dopo tanto lavoro a volte arrivano solo una quindicina di persone, mentre, invece, lavorando poco, ne arrivino tante».

Infatti, gli organizzatori sono rimasti scoccati e per loro era strano veder arrivare un gruppo così numeroso di giovani, venuti a conoscenza di questo incontro per vie impensate e a noi sconosciute, certamente diverse da quelle che normalmente si conoscono. Dio chiama in modo imprevisto e a noi spetta di tenere con gli occhi aperti per accoglierli tutti, specialmente se ci si trova di fronte all’imprevisto.
Il programma in generale si è svolto così: all’inizio è stata presentata brevemente un’esperienza di comunione di giovani consacrate e religiosi dei diversi carismi), chiedendo a Matilde dell’Italia e a
Daniel del Kenia di comunicare la loro esperienza e dire come sono arrivati a concretizzare la loro scelta di Dio e come l’Opera di Maria – Movimento dei Focolari li ha aiutati in questo. Il 90% di questi giovani non conoscevano il Movimento dei Focolari e le diverse iniziative che svolge. Solo dopo è avvenuta la presentazione di tutti in sala, ed infine la presentazione del Sinodo qui esposta.
Decisivo è stato l’argomento proposto dai vescovi sul Sinodo che ha attirato i Giovani: Fede e discernimento vocazionale. Nelle comunità religiose, ordinariamente non si parla di questo, perché si pensa che l’argomento non li riguardi e impegnerà i vescovi nel corso del loro Sinodo. I giovani, invece, hanno dimostrato interesse.

Sua Em. Card. Lorenzo Baldisseri
A esporre l’argomento era stata invitata Federica Vivian, la segretaria del cardinal Lorenzo Baldisseri, incaricato a presiedere la segreteria dei Vescovi per il Sinodo. La sua preparazione e competenza si sono rivelate inequivocabili, anche perché alle spalle ci sono anni di esperienza sui sinodi. Essa ha accolto l’invito, cosicché attraverso foto e filmati ha entusiasmato questi giovani religiosi su una realtà di cui erano ignari. Inoltre, a Rome vive Leticia, una ragazza brasiliana del Movimento Gen dei Focolari, esperta di mass-media. Lei è stata contattata e coinvolta da Federica Vivian per comunicare con i giovani attraverso i social. La sua presenza è stata per tutti una dimostrazione pratica e molto bella su come possono essere coinvolti i giovani in questa iniziativa ecclesiale.
Per tutti, poi, anche per i più esperti, è stato un vero aggiornamento ecclesiale. Lo dimostra il fatto che nel dialogo successivo qualcuno chiedeva come poter esserne coinvolti. Gli è stato suggerito con molta semplicità di scrivere al Cardinale per rendersi disponibile ed essere coinvolto nella preparazione e svolgimento del Sinodo. Quindi fu consegnato a lui e ad altri l’indirizzo per un primo contatto con la segreteria del Cardinale.

Quest’esperienza – è stato detto – non è una iniziativa sporadica, ma dietro c’è un continuità. A questo punto gli organizzatori hanno parlato delle iniziative che si tengono durate le vacanze natalizie e pasquali, informando che, chi è interessato, può lasciare i suoi riferimenti per essere poi contattato per tempo. L’incontro, iniziato con l’accoglienza intorno alle ore 15,00-15,30, è terminato, come previsto, intorno alle ore 18, …e di esso continuano ancora le risonanze positive.
In conclusione, si può ben dire che i giovani di oggi non amano più stare chiusi nelle loro case, ma amano stare insieme per conoscersi e sono attirati dal rapporto con gli altri e dalla reciproca comunione, ma soprattutto sono sensibili ai valori condivisi. E in questo il carisma dell’Unità dato da Dio a Chiara Lubich può essere di aiuto, perché è una opportunità ed ha una marcia in più. Quindi, non si deve esitare nel proporlo, basta avere come ampio obiettivo il bene della Chiesa.

Incontro dei Religiosi coinvolti nella Scuola Abbà

Albano Laziale, 18 novembre 2017.

Cultura, studio, spiritualità alla ricerca di incarnazione


Padre Salvo D'Orto
Un gruppo di dieci religiosi impegnati in diversi ambiti culturali ed esperienziali che a vario titolo partecipano alla Scuola Abbà, hanno accolto l’invito di p. Salvo D’Orto, OMI responsabile della diramazione dei Religiosi dell’Opera di Maria, e si sono incontrati per comunicarsi le loro esperienze che da anni stanno facendo, sia direttamente che a margine, con coloro – sono circa 500 persone da tutto il mondo – che  stanno approfondendo i molteplici aspetti valoriali intuiti da Chiara Lubich nell’estate del 1949. Le competenze di questi religiosi spaziano in diverse discipline: teologia spirituale (Theo Jansen, Paolo Monaco, Jesé Damian), teologia dogmatica (Carlos Garcia Andrade), filosofia (Gennaro Cicchese), teologia morale (Amedeo Ferrari), teologia pastorale ed ecclesiologia (Mariano Steffan), psicologia e pedagogia (Alessandro Partini), ecumenismo (Paolo Cocco).



Un momento dell'incontro con 5 religiosi ad Abano Laziale
e gli altri 4 nelle loro comunità.
Nell'idea iniziale questo incontro si proponeva di camminare insieme come Branca dei Religiosi, cioè essere una realtà unita e coesa soprattutto nei confronti di tutta l’Opera di Maria. In seguito questa idea si è rafforzata perché le sollecitazioni da parte dell’Opera di Maria erano ancora più esplicite. Infatti, i vari incontri che Jesús Morán ha avuto con il Centro dei Religiosi e negli incontri estivi di approfondimento sul “Paradiso ‘49” e di programmazione della diramazione dei Religiosi dell’Opera, lo confermano. In una di queste occasioni Jesús ha affermato che i religiosi nel confronti dell’Opera hanno la funzione di accompagnamento e di sostegno, proprio come l’ebbe P. Novo nei confronti di Chiara Lubich. Ora, si vede opportuno che tutto questo non venga fatto a titolo personale, ma come una realtà che si esprime nell'unità, proprio come espressione del Corpo Mistico che, come avvenne per Chiara L. e P. Novo, dà il suo piccolo apporto per costruire la Chiesa. E’ certo, comunque, che quella unità esplicita tra di noi, basata sul “patto” come Chiara l’intende, costituisce una base a dimensione ecclesiale, e per questo sostiene tutta l’Opera di Maria. 
Il secondo tema sulla fedeltà creativa che quest’anno Jesús M. ha tenuto, dove si parla di incarnazione e delle prove che l’Opera stessa sta affrontando, chiede anche a questi religiosi, chiamati a far parte di questo gruppo di lavoro per quelle specifiche competenze ed esperienze di vita che ognuno ha, è una risorsa da valorizzare al meglio per tutti. Il motivo fondamentale di questo incontro, quindi, è quello di fare un piccolo passo di unità con questo gruppo, ma anche con tutti i religiosi della diramazione dell’Opera di Maria. E’ un primo momento che potrebbe aiutare ciascuno ad arricchire il proprio gruppo, ma qui lo scambio permette di guardare anche più in là, cioè, potrebbe gettare luce sul Movimento della Vita Consacrata e sui giovani religiosi, realtà che stanno emergendo in modo preponderante oggi.
Dopo un primo scambio, dal gruppo emerge quale sia la tappa d’arrivo di ciascuno, ma è stata anche accolta con soddisfazione le proposta di poter fare un percorso insieme, prendendo coscienza di quanto sta avvenendo anche aldilà del lavoro personale e prezioso di ciascuno.
Successivamente è stato ascoltato un intervento di Chiara Lubich sulla Chiesa tenuto l'8 agosto 1966. Tutti sono rimasti colpiti, anche se per alcuni era già conosciuto, nel vedere come Chiara ha parlato della Passione per la Chiesa fin dall’inizio del Movimento dei Focolari di cui lei è la fondatrice. Per qualcuno dei presenti questo argomento è stato determinante per la sua vita, tanto da coinvolgerlo nell’Opera di Maria. A distanza di anni oggi questo testo rivela una profonda consonanza con ciò che la Chiesa s’attende oggi, perché aiuta ad attivare tutto ciò che questo in pratica comporta. Certamente qui si vede come far venire fuori “LA” teologia che s’attende Chiara stessa, e aiuta l’Opera ad essere umile e ad accogliere anche gli altri carismi senza guardare al proprio con autoreferenzialità, siano essi carismi antichi o nuovi, e cioè senza nessuna superiorità nei confronti di alcuno. Questo permette di capire meglio i doni che Dio ci ha dato. Chiara ritiene che la Chiesa non è altro che quella Città Nuova di cui si parla tanto nell’Opera di Maria. Inoltre, molte realtà fragili e a volte sbagliate che s’incontrano nelle famiglie religiose, vanno assunte e fatte proprie. Questa passione per la Chiesa è veramente una chiave di lettura molto interessante per rispondere concretamente alle attese.
L’ultima parte di questo incontro ha aperto una ampia panoramica sugli ambiti di studio e lavoro: iniziative, pubblicazioni, ricerca, risultati ottenuti e donati… Infine, p. Alessandro Partini, che  è l’unico coinvolto direttamente nella Scuola Abbà, riconosce che, per andare in profondità, si richiede la padronanza di tutto il testo del Paradiso ’49 che attualmente non è nelle mani di tutti. Tuttavia, lui avverte già tutta la potenzialità di questa Scuola ristretta, che alle spalle può contare sull’apporto di diversi gruppi che la amplificano e dove operano non solo le ricerche interdisciplinari, ma anche le “inondazioni” che incidono nella cultura dei diversi ambiti sociali.


L’incontro si conclude con delle indicazioni concrete che confermano, potenziandole, delle iniziative in atto, come il corso “Svegliate il Mondo” che già da due anni si tiene alla Claritas di Loppiano (Firenze). Qui infatti, altri religiosi sono impegnati nell’insegnamento. Conoscendo tutte queste realtà vene in luce la possibilità di riflettere su ben altre proposte che potrebbero essere creative ed interessanti. Si parla, ad esempio, di un corso che si tiene e Roma all’Università Antonianum in collaborazione con l’Università Sophia di Loppiano. Poi, dell’incontro di circa cento giovani religiosi avvenuto di recente all’Università alfonsiana. Quest'ultimo ed altri incontri potrebbero entrare in un progetto più ampio che sta maturando e che riguarda i “Collegi Romani”. Nell’Opera stessa sta emergendo da parte dei giovani dell’Opera una visione nuova che coinvolge anche le consacrate e i religiosi. 
S'intravvedono, poi, ulteriori visioni sul “Movimento dei Religiosi”. Nel mese di aprile 2018, per la prima volta le consacrate e i religiosi hanno programmato un convegno insieme con la finalità di essere ‘lievito’ per tutta la Chiesa. Un convegno simile è già avvenuto nel Triveneto, nell’ottobre scorso, e ha raccolto l’entusiastico consenso dell'Episcopato di quelle regioni. L’ecumenismo stesso sta scoprendo cose nuove, grazie anche alle lezioni universitarie tenute dal Paolo Cocco. Sempre di più si prospettano delle collaborazioni più strette tra le consacrate e i religiosi. Su tutto ci si attende sviluppi ulteriori. 

domenica 5 novembre 2017

Nel Nord-Est d’Italia un convegno sull’onda lunga dell’Anno della Vita Consacrata

Mestre-Venezia, Istituto Salesiano “San Marco” – 21 ottobre 2017

Les disciples Pierre et Jean courant au sépulcre
le matin de la Résurrection
, 1898,
olio su tela, 82×134 cm, Museo d'Orsay, Parigi.

Convegno CISM – USMI del Triveneto 

Correvano insieme...

Il convegno delle due conferenze USMI e CISM del triveneto per la Vita Consacrata, nasce soprattutto dai giovani religiosi che, ritornati entusiasti dal convegno tenuto a Roma nel Anno della Vita Consacrata, hanno voluto ripeterlo in zona, abbracciando tutti i religiosi del Triveneto, giovani e meno giovani. In questa iniziativa il loro coinvolgimento e la loro partecipazione attiva era più che evidente. Una formula vincente, è stato detto, che ha dato entusiasmo anche agli adulti e ai più anziani, e che ha saputo ben coniugare e unire ogni divario generazionale, perché - partendo dalla espressione evangelica che vede i due apostoli, Giovanni e Pietro, correre al sepolcro - hanno colto l’importanza del sapersi aspettare, di rispettare i ritmi richiesti per camminare, anzi, per correre insieme.


La prima cosa che colpiva nella sala gremita era la gigantesca foto del dipinto di Eugéne Burnand del 1898. Rappresenta Pietro e Giovanni che hanno negli occhi l’alba della Risurrezione. “Correvano insieme...” dice il Vangelo (Gv 20,4), ma il più giovane arrivò per primo al sepolcro vuoto e attese il più anziano. “I giovani corrono di più, ma i vecchi conoscono la strada” recita un proverbio africano. 
Questa era l’icona della giornata per gli 800 religiose/i che gioiosamente sono convenuti a Mestre il 21 ottobre presso l’Istituto Salesiano per il consueto convegno “biennale” organizzato dalle Conferenze dei Religiosi/e (Cism e Usmi) del Triveneto attorno al Vescovo delegato per la Vita Consacrata, Mons Gianfranco Agostino Gardin.
Il tema è stato suggerito dai giovani consacrati/e in formazione che avevano partecipato a Roma al Laboratorio loro riservato durante l’Anno della Vita Consacrata. Dopo l’incontro con papa Francesco erano rientrati entusiasti e desiderosi di partecipare alla generazione precedente quanto sperimentato assieme a speranze e timori per il futuro. I Consigli Regionali CISM USMI hanno accolto questo loro desiderio e hanno organizzato l’evento assieme a loro, in particolare alle Segreterie dei giovani religiosi di Verona e Treviso. La commissione preparatoria era così composta da religiosi sia giovani che adulti

Due giovani, don Michele e suor Francesca, hanno fatto da presentatori del convegno, il presidente Cism, don Roberto Dal Molin e la vicepresidente Usmi, sr. Dolores Maccari, hanno porto il saluto iniziale, il Patriarca di Venezia ha voluto rendersi presente con un suo messaggio che è stato letto all’assemblea.
Il Convegno era idealmente articolato in quattro momenti. La Parola di Dio annunciata (il brano di Vangelo di Giovanni 20,1-18) veniva approfondita dal relatore, poi testimoniata attraverso esperienze concrete e infine condivisa nel lavoro a gruppi.

Dopo la preghiera, sono state poste al Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (CIVCSVA), alcune domande: c’è motivo oggi per “correre” come consacrati oppure conviene starcene tranquilli e in pace; come correre senza affannarsi e perdersi in cose senza senso; si riesce a correre insieme tra consacrati di generazioni, istituti e generi diversi e infine come far sì che altri giovani “corrano” con noi?
Card João Braz de Aviz (ds) e Gianfranco Agostino Gardin (sn) 
Il Card João Braz de Aviz ha aperto l’incontro in forma narrativa e colloquiale come è nel suo stile pastorale. Avvertendo un ascolto attento e partecipato, dovuto alla vita di comunione di tanti religiosi/e presenti e passati, ha ringraziato di cuore e ha svolto il suo tema interessante e coinvolgente. Accanto al Cardinale Mons. Gianfranco Agostino Gardin, vescovo di Treviso, francescano, ascoltava discreto e contento.
 Prendendo spunto dal documento del Dicastero CIVCSVA “Per vino nuovo otri nuovi”, il Cardinale ha parlato della necessità di una nuova spiritualità che punta alla santità e che è comunionale; di una nuova memoria dei fondatori capace di custodire l’essenziale e di liberarsi delle incrostazioni della storia; di un nuovo dialogo con la cultura che evita chiusure autoreferenziali e apre ad un dialogo coraggioso; di una nuova formazione che deve essere dinamica e durare tutta la vita; di una nuova autorità e obbedienza che valorizza le persone e le responsabilizza; di una nuova economia  che non conta su sicurezze solo umane ma che vive fidandosi della Provvidenza; di una nuova reciprocità tra maschile e femminile che valorizzi le specificità e la complementarietà.


Sono seguite poi sei testimonianze di vita consacrata a Dio e ai fratelli raccolte dalla vita reale, presente nelle comunità del Triveneto oggi. Le testimonianze hanno cercato di rifarsi a cinque parole tratte dal discorso di papa Francesco ai giovani religiosi durante il Giubileo della Vita Consacrata. Profezia, ossia la convinzione della vita fraterna e la comunione tra carismi diversi (Segreteria dei giovani religiosi/se della diocesi di Verona); Adorazione: 
l’imprescindibilità della preghiera e dell’unione con Dio ( Oblate Sacerdotali–Serve di Maria del monastero di clausura di Verona, attraverso un video); Vicinanza, mediante la scelta di “stare in mezzo” con la forza del Vangelo, esperienza delle Discepole del Vangelo di Treviso; Passione: la missione di uscire verso i poveri, realizzata dal Centro Missionario Diocesano di Vicenza con don Luciano Bertelli pssg, p. Luciano Bicego sx, Suor Bertilla Zampieri, Suore di S. Anna, Federico Cozza, giovane laico; Discernimento, ossia generare e accompagnare i giovani nelle scelte di vita: hanno testimoniato le postulanti delle Suore Maestre di Santa Dorotea di Vicenza e la Comunità Proposta dei Salesiani di Mogliano.
Dopo le testimonianze è seguito il pranzo. All’ora stabilita, in ordine e rapidamente tutti si sono diretti ai gruppi (27) guidati da un coordinatore con una traccia già predisposta. Nei gruppi si è creato un grande ascolto, una grande comunione, un lavoro proficuo... Il tema del prossimo Sinodo sui giovani e il discernimento spirituale è stato come il filo rosso della comunione. La vita consacrata deve offrire al mondo giovanile la profezia della radicalità della vita del Vangelo e attrarre alla sequela di Gesù tanti giovani che cercano l’incontro con Lui vivo oggi.
Nell’ultima ora del Convegno sono state poste al Cardinale João delle domande a cui egli ha risposto con grande semplicità e profondità mettendo in gioco la sua esperienza di vita di comunione. Le sue espressioni e la sua testimonianza, nello stile di Papa Francesco, colpiscono profondamente e comunicano una grande gioia, visibile sul volto di tutti i partecipanti e insieme tanta speranza. Qualcuno afferma di essere stato preso da commozione. La convinzione è che la presenza del Cardinale João così semplice e profondo, della semplicità e profondità di Dio, e del Vescovo di Treviso, ci hanno portato a fare una forte esperienza di Dio e una forte esperienza di Chiesa, di quella "Chiesa" che Gesù ha chiesto al Padre.

Intanto sullo schermo vengono proiettate parole chiave emerse dai lavori di gruppo, da quelle più ripetute presentate in caratteri grandi alle altre, e che sono il messaggio che si vuole trasmettere: Comunione. Ascolto. Fraternità. Passione. Gratitudine. Bellezza. Speranza. Coraggio. Unità. Insieme. Umanità. Com-passione. Rigenerazione. Squadra. Vicinanza. Essenzialità. Opportunità. Incoraggiamento. Luce. Convivialità.
La presenza inoltre di tanti Vicari episcopali, Madri Generali e Superiori e Superiore ha dato valore alla convocazione e ha offerto dei presupposti per ulteriori sviluppi.  
Un religioso ha detto: “il Convegno ci ha dato speranza e prospettiva per il futuro, ha consegnato uno stile con cui è possibile convocarci: tutto frutto di una comunione vissuta e soprattutto della Grazia del Signore presente, vivo in mezzo a noi”.
Una religiosa ha scritto: “Sono rimasta particolarmente colpita dall’impostazione nuova che ha caratterizzato il Convegno. Vorrei dire che ho visto un tentativo, a mio parere, ben riuscito di “mettere vino nuovo in otri vecchi”.

Il tema molto indovinato e sviluppato con vivace perspicacia dal Card. João Braz de Aviz e dalle diverse testimonianze ha fatto scorgere il germe di “vita nuova” che chiede di avere spazio per crescere e germogliare in fraternità vere, rispettose della diversità, dei tempi di crescita di ciascuna persona, capaci di misericordia e di perdono, capaci di “camminare insieme” senza paura del cambiamento….. ormai non più demandabile.

d. Gianni Pellini sdb  e sr. Paola Cover stfe
Segretari Cism e Usmi            

mercoledì 25 ottobre 2017

Un viaggio nel lontano Kazakistan dove la vita è intensa

Almaty (Kazakistan), 11-16 ottobre 2017

Uno straordinario momento di “focolare temporaneo

  Un viaggio questo suggerito dai focolarini di Mosca e attivato dal Centro dei Religiosi per andare a trovare padre Luca Baino, un religioso francescano e parroco; per conoscere la sua comunità religiosa; per incontrarsi con le diverse chiese parrocchiali da lui animate e, infine, per essere vicini alle comunità locali che s’ispirano alla spiritualità del Movimento dei Focolari.

Durante l’incontro che il Movimento dei Focolari ha organizzato nello scorso mese di settembre per i Delegati che arrivavano dalle diverse parti del mondo, quelli che provenivano da Mosca (Russia) hanno raccontato a P. Salvo D’Orto le belle attività pastorali che P. Luca Baino, Frate Minore della Provincia dell’Umbra, sta svolgendo nelle lontane steppe del Kazakistan. Con l’ideale nel cuore, ha incontrato delle persone che hanno dimostrato interesse per il carisma dell’unità di Chiara Lubich e si stanno avvicinando a questa spiritualità. Nelle due città dove p. Luca vive e opera, hanno preso vita delle piccole comunità locali dell’Opera di Maria. I focolarini di Mosca hanno suggerito a P. Salvo di mandare lì qualcuno dei religiosi affinché ci si potesse rendere conto di persona e sostenere p. Luca con la certezza che avrebbe gradito tantissimo una simile visita, anche se di pochi giorni. La proposta è stata subito accolta dal Centro dei Religiosi che ha pensato di affidare a me questo viaggio.

Padre Luca Baino frate minore e padre Egidio
Canil Frate francescano conventuale
Conosco P. Luca da quand’era giovane frate e studiava ad Assisi. Infatti, fu in quel periodo che conobbe il Movimento dei Focolari. Mi rendo conto che il Kazakistan non è dietro l’angolo, ma non mi preoccupo. Di viaggi ne ho fatti tanti e mi attivo subito. Trovo con facilità il biglietto aereo e i dovuti permessi dei superiori. Intraprendo il viaggio come Maria che “partì in fretta, verso la montagna” per andare a trovare la sua parente Elisabetta! Parto da Roma, un volo di oltre otto ore, con scalo a Istanbul e destinazione Almaty, l’antica capitale di quello stato, che conta circa un milione e mezzo di abitanti. Ad accogliermi P. Luca: siamo entrambi felici! Ci sembrava un sogno poterci incontrare in quelle steppe sconfinate. Kazakistan significa “terra dei Kazaki” distesa per due milioni e 700 mila km² e con 17 milioni di abitanti. Di questi, poco meno della metà sono Kazaki, perché l’altra metà è di varia origine: russa, tedesca, ucraina, polacca, coreana, cinese, ecc., tutti deportati lì durante il regime comunista.


Con P. Luca stiamo insieme 6 giorni. Nessun programma prestabilito, ma solo il desiderio di fare vita di focolare e tenere Gesù fra noi. Personalmente mi metto in atteggiamento di ascolto. Tante le cose da raccontare! Tanta vita spesa per gli altri! Non sono mancate le difficoltà! Ma anche tanti frutti, tanti rapporti costruiti, tante amicizie instaurate con ogni categoria di persone: politici, fedeli di altre religioni, cristiani di altre chiese, situazioni di miseria... «In tutto questo, c’è una costante - afferma p. Luca -. Nel carisma dell’unità scoperto negli anni di formazione e nei primi anni di sacerdozio in Umbria, ho ritrovato continuamente la forza di andare avanti».
 
I primi due giorni li trascorriamo ad Almaty dove P. Luca è parroco della chiesa cattedrale, gestita dalla comunità dei Frati Minori composta da 5 religiosi: due polacchi, due coreani e lui italiano. Poi, noi due dedichiamo del tempo per conoscere persone, tra cui un sacerdote fidei domun e una consacrata di CL che animano con p. Luca un bel centro per minori privi di famiglia. Con loro e con un giovane italiano di Azione Cattolica trascorriamo una bella serata insieme. Poi, dedichiamo un’altra serata alla piccola comunità locale del Movimento dei Focolari composta da due giovani studenti, da due sacerdoti, il nostro autista ed altri ancora. Nel pomeriggio - dato che l’inverno è alle porte - abbiamo riparato l’allaccio dell’acqua ad una famiglia povera, infangandoci mani e piedi. Ma lo abbiamo fatto per Gesù presente in quelle persone ed eravamo felici. C’è scappata anche una visita turistica al centro della città per vedere la storica cattedrale ortodossa, che era in restauro.

Il terzo giorno percorriamo 300 Km di una bella e nuova superstrada verso il Nord, con tappa in un villaggio povero per portare cemento e altro materiale edile ad una famiglia bisognosa. Arriviamo nel tardo pomeriggio a Taldyqorgan, una città di 100.000 abitanti ai confini con la Cina! 
Anche qui P. Luca, alternandosi con il suo vice parroco, svolge il suo servizio pastorale nell’unica chiesa cattolica di quella città. P. Luca è di casa qui, perché è vissuto per diversi anni con un altro confratello polacco, che ora è rientrato in patria. Venerdì, sabato e domenica la vita liturgica si svolge regolarmente. Le messe sono ben curate e animate da canti. Abbiamo avuto il tempo di conoscere vari fedeli andando a trovarli. 
Poi, due incontri significativi: uno venerdì sera in casa parrocchiale con il gruppo della comunità locale della Parola di Vita: un gruppo eterogeneo composto da un evangelico, alcuni ortodossi, altri cattolici di varie nazionalità. Li accomuna l’incontro con il Movimento dei Focolari, e quasi tutti hanno partecipato a qualche mariapoli.

Il sabato 14 ottobre abbiamo ritagliato del tempo per noi, rimanendo nella casa parrocchiale per fare qualche lavoretto, per la meditazione e la comunione fra noi. Poi, una passeggiata al centro città per una visita, e in serata approfittiamo di un invito a cena rivoltoci da una famiglia che da anni vive la Parola di Vita. Domenica mattina facciamo insieme la preghiera delle Lodi, la meditazione e poi la messa nella chiesa parrocchiale, con la mia omelia, logicamente in italiano ma tradotta in russo. Nel viaggio di ritorno ad Almaty non ci siamo proprio annoiati: è stata ancora una buona occasione per continuare il nostro scambio di vita e di comunione.

Sei giorni veramente pieni di incontri, visite, conoscenze, scambi, novità che non immaginavo… ma soprattutto di comunione d’anima. Resto ammirato dalla forza d’animo con cui P. Luca riesce a superare le avversità che quotidianamente incontra! Sono stati sei giorni di vita e di unità piena. Si avvertiva che il Risorto era presente tra noi, come è capitato ai due discepoli di Emmaus. Sarà lui fra noi, anche a distanza, a portare avanti il suo disegno su quella Chiesa e sul cammino che il carisma dell’unità sta facendo in quella nazione. Lunedì 16 ottobre, al mattino presto, riprendo l’aereo per Roma. Anch’io, come Maria che dopo tre mesi ritornò a Nazareth, dopo solo una intensa settimana, ritorno in Italia, stanco ma felice!

P. Egidio Canil 

domenica 8 ottobre 2017

Sessant’anni di Missione per P. Francesco Bordignon

Dal Brasile con tanto amore

Francesco Bordignon ci racconta qualcosa dei suoi 60 anni di missionario scalabriniano trascorsi in Brasile, Paraguay e Argentina.


Padre Francesco nato a Casoni di Mussolente (Vicenza) il 26 ottobre 1932, è entrato nel seminario degli scalabriniani a 14 anni. Allora il seminario degli scalabrini di Bassano del Grappa contava circa 300 seminaristi presenti in tutto l’arco formativo che comprendeva le scuole medie e superiori. Le vocazioni missionarie portate avanti secondo lo spirito della sua famiglia religiosa scalabriniana che si dedica agli emigrati, erano all’epoca molto floride e le missioni da loro sostenute erano sparse in tutto il mondo. Francesco Bordignon fu ordinato sacerdote il 1 giugno 1957 e subito dopo parte per il Brasile. La sua vita missionaria in questi 60 anni si è svolta per la maggior parte in Brasile, con qualche breve periodo in Paraguay e in Argentina.

La sua attività è stata delineata da tre parole fondamentali, come lui stesso sottolinea: Maria come madre, la missione e la misericordia; tre realtà legate tra di loro dal senso di famiglia che accomuna tutto.

La presenza di Maria l’ha accompagnato sempre fin dall’infanzia. Quando aveva appena 5 anni il venerdì santo sua mamma l’ha accompagnato alla cerimonia della adorazione della croce e alla fine Gesù in croce è stato deposto sui gradini dell’altare affinché i fedeli, accostandosi, potessero baciarlo. La mamma, tenendo per mano il suo bambino s’avvicinò per baciare quel crocifisso, mentre il suo bambino, Francesco, aveva paura. Sua madre si accorse ma non si fermò. Si chinò davanti al Crocifisso steso per terra e gli diede un bacio. Poi si rivolse a suo figlio e gli disse: «È Gesù! DaGli anche tu un bacio». Tranquillizzato dalla mamma, il bambino si chinò, diede un bacio alla statua di Gesù crocifisso e sanguinante. Poi guardò la mamma che con la testa annuì. Questo fatto fu emblematico perché Maria, la madre di Gesù, ha fatto sempre così con questo suo figlio in tutte le difficoltà incontrate in tutta la sua vita. La sua vocazione missionaria e sacerdotale è stata ostacolata fin dalla sua giovinezza. Il suo parroco, quando seppe che desiderava entrare in seminario rispose: Meglio che si metta a zappare e non a studiare! Tale risposta lo fece piangere. Comunque, la radice vocazionale non è stata sradicata da questa difficoltà e neppure dalle successive difficoltà dovute allo studio e a tante altre incomprensioni. La presenza di Maria, come madre, lo ha accompagnato, grazie anche ad alcuni compagni che gli sono stati vicini.

La missione scalabriniana da lui portata avanti parte da un pizzicottino sul viso ricevuto confidenzialmente datogli da un suo formatore che gli chiese a bruciapelo cosa intendeva fare al termine degli studi teologici. Alla risposta generica di Francesco che gli bastava diventare sacerdote, quel formatore gli disse: «Perché non missionario?» E quel pizzicottino provocò il lui un “Sì” deciso che gli diede una spinta che non è mai venuta meno. Quel ragazzo timido e insicuro, acquistò fiducia ed entusiasmo, e divenne quel missionario che dall’alto dei suoi 85 anni ancora non si tira indietro.

Di misericordia sono percorsi tutti questi anni. Alcuni santi e sante gli sono stati vicini nella sua attività, specialmente nell’esercitare il ministero della confessione. Gli insegnamenti delle sante Maria Faustina Kowalska e Teresa del Bambino Gesù di Lisieux sono state di tanto aiuto per lui, ancor prima che uscisse l’enciclica “Dives in misericordia” e altri successivi testi del Magistero. Per lui ora tutto parla di misericordia, sia in lui che nelle persone da lui accostate in confessione e fuori confessione.

L’incontro con il carisma dell’unità di Chiara Lubich.

Ma fu proprio durante gli studi che, per iniziativa di un suo formatore, incontrò l’Opera di Maria. Due dei primi focolarini, Marco Tecilla e Oreste Basso, sono stati invitati a parlare a 40 Padri e 60 studenti di filosofia e di teologia a Piacenza. 20 di loro ne rimasero folgorati e tra questi anche P. Francesco, che colse in questo un segno della presenza di Maria e disse a se stesso: quest’Opera di Maria non la lascerò più! Questo proposito fatto nel 1954 è tuttora confermato. La prima “Parola di Vita” ricevuta era: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me» (Mt 25, 40). Tre anni dopo questa scoperta ci fu l’ordinazione sacerdotale e, poi, la partenza per la missione in Brasile, dove nell’arco di tutti questi anni ce ne furono molti di questi “piccoli” incontrati da p. Francesco e accostati con tutto l’amore di madre/padre, trasmettendo loro Dio-Amore. Ma, prima di partire per la missione nell’estate del 1957 si mise in contatto con l’Opera di Maria e con sua madre andò a Trento, dove vi rimase tre giorni. Qui ebbe l’occasione di incontrare alcuni dei primi focolarini, focolarine, religiosi, sacerdoti con i quali mantenne i contatti.

Ora si riparte e si ritorna nella Parrocchia di san Giuseppe a Vila Nova di Porto Allegre in Brasile. Molte sono le attività pastorali che lo aspettano: incontri del Consiglio pastorale, gruppi della legio Mariae e di altri movimenti ecclesiali, molte attività di settore… Ma su tutti prevale l’impegno portato avanti da sempre con l’Opera di Maria. Tra Porto Allegre e Rio Grande do Sul ci sono 300 Km di distanza, ma questo non è un impedimento per potersi incontrare con la famiglia di Chiara Lubich – Movimento dei Focolari –, nemmeno per un religioso di 85 anni suonati. La sua disponibilità pastorale e missionaria non ha confini e il suo periodo florido di missionario scalabriniano continua…

mercoledì 4 ottobre 2017

La testimonianza di 40 anni di sacerdozio

Ripercorrendo quarant’anni di sacerdoteSteffan Mariano Ordine dei Frati Minori Cappuccini- Racconto autobiografico -

Guardando, fotogramma dopo fotogramma, ai 40 anni di sacerdote sono colmo di meraviglia, non solo per il fatto che sono passati in un baleno, ma soprattutto perché nei fatti che mi sono accaduti ho avverti-to di essere stato toccato dall’amore di Dio. Faccio solo qualche accen-no.
Il sacerdozio: una delicata richiesta di Dio per un servizio
Terminata la teologia ero stato mandato con sei dei miei compagni di corso a Portogruaro (VE) per una nuova esperienza di fraternità. Erano passati due anni e a differenza dei miei compagni non ero stato ordina-to sacerdote. Questo non per ragioni di crisi, ma perché da qualche an-no stavo facendo una profonda riscoperta di san Francesco e del suo rapporto con Cristo crocifisso; un rapporto fondamentale, esistenziale ed utile per ben impostare la mia vocazione francescana. Durante il periodo natalizio del 1976-77 avvertivo in me un cam-biamento. Padre Flavio Roberto Carraro, Ministro provinciale di allora, era venuto a Portogruaro per incontrare la fraternità. Nel colloquio per-sonale che ebbi con lui in febbraio gli comunicai il mio cambiamento interiore incominciato la sera del 28 dicembre ’76. Perfezionista qual ero, non ammettevo sconti tra me e Dio. Pensavo, infatti, che se Dio mi voleva francescano, dovevo dimostrarlo con la vi-ta e non a parole! La stessa cosa vale per chi chiede di diventare prete. «Non devi – mi dicevo – farti consacrare se non sei veramente un “alter Christus”, un altro Gesù! E poi, vedi che anche tra i giovani sacerdoti, qualcuno è già in crisi». Perciò, con tutte le mie forze m’impegnavo a vivere il Vangelo, come suggerisce san Francesco nelle prime righe del-la sua Regola. Il sacerdozio non era per me un obiettivo. Tuttavia, una forte intuizione, che si potrebbe esprimere in questi termini, mise a fuoco il valore del sacerdozio: «Tu non sarai mai capace di diventare un altro Cristo. Scordatelo! Le tue forze umane, per quanto sincere, non bastano per raggiungere questo traguardo». Amareggiato da questa evidente logica, mi chiedevo se non fosse il caso di rimanere per sempre semplice frate, o al massimo diacono, come lo fu san Francesco. Ma quella intuizione, o meglio, quella voce non s’arrestò e continuò a dirmi: «È vero che nessun uomo è degno di esse-re sacerdote del Signore, ma è certo che il Signore si serve di uomini per far arrivare la sua grazia all’umanità. Quando un sacerdote consacra l’ostia, quell’ostia è il Corpo di Cristo e non viene sminuita dalla più o meno evidente santità di quel povero prete. Quando un sacerdote, pure lui peccatore, assolve, è Dio che assolve e gli effetti del perdono di Dio non dipendono dalla santità di quel sacerdote, ma vengono direttamen-te da Dio. Certo! Se il sacerdote è un santerello, molto meglio». Questo ragionamento, che non svilisce le mediazioni sacerdotali ma riconduce direttamente a Dio che è Amore, demoliva gradualmente dentro di me un’idea assai comune in quell’epoca sessantottina: la Chiesa con i suoi sacerdoti non godeva della stima dei cristiani e so-prattutto dei giovani. Capivo, invece, che non dovevo fermarmi a guar-dare i sacerdoti, pur uomini e peccatori, altrimenti perdevo la cosa più importante: la bellezza dell’amore di Dio che non può essere inquinato dalla poca fedeltà degli uomini. Sotto la spinta del mio confessore, fece breccia in me il pensiero che nulla mi impediva di accedere all’ordinazione sacerdotale. Infatti, dov’erano gli ostacoli? Forse i limiti umani, o il carattere? Oppure, le mie incapacità intellettuali, o teologiche? Direi di più: nemmeno la mia miseria spirituale non era più un ostacolo! Il Signore delicatamente mi chiedeva il consenso di potersi servire di me per far arrivare il suo Amore benefico e salvifico a tutti gli uomini e donne che incontravo. Mentre in quel colloquio personale raccontavo tutto ciò a Padre Flavio, gli chiesi infine di poter accedere al sacerdozio. Ricordo che, dopo avermi ascoltato, mi disse con commozione: «È proprio vero! Bisogna saper rispettare i tempi di Dio!». 

Da sinistra: Mons Flavio Roberto Carraro, Mons. Abramo Freschi, vescovo di Concor-dia/Pordenone nel giorno della ordinazione sacerdotale, 18 giugno 1977.
Sul “nulla” di me, l’ordinazione sacerdotale 
Le successive tappe erano ormai cosa fatta. Il 12 marzo del ’77 fui ordinato diacono da Mons. Abramo Freschi nella sua cappella privata a Pordenone. Il 18 giugno lo stesso vescovo mi ordinò sacerdote. Ormai, non vedevo l’ora di essere sacerdote e quando finalmente arrivò il giorno dell’ordinazione, attendevo con impazienza l’arrivo del Vesco-vo che si fece vedere qualche istante prima della cerimonia. Gli andai incontro ed invece di baciargli l’anello, mi profusi in uno spontaneo abbraccio. Più tardi mi accorsi che, forse, non era quello il modo di sa-lutare il mio vescovo. Dovevo almeno baciargli l’anello. Avevo fatto una gaffe e dovevo in qualche modo rimediare. Questo pensiero mi tormentò, specialmente al termine della cerimonia, tanto che, quando fui invitato a dire qualcosa alla gente che assiepava la chiesa, fui colto di sorpresa e non feci altro che esprimere le mie scuse al Vescovo, per-ché invece di baciargli l’anello gli diedi un abbraccio. Queste scuse, dette con serietà, provocarono una plateale risata. In verità, mi ero pre-so troppa confidenza, ma il vescovo mi tranquillizzò, dicendomi: «No, no! Hai fatto bene. Si fa così con il proprio Vescovo».Comunque, la frase che diede il tono alla mia ordinazione fu pro-nunciata al prefazio quando dissi: «Ti ringrazio, Signore, perché mi hai accettato così come sono e mi hai fatto capire che dovevo accettarmi così». Dentro di me si era verificata una specie di alleanza con Dio; una alleanza espressa molto bene in un telegramma inviato da Chiara Lu-bich per la circostanza. Mi augurava di «essere un altro Gesù e di vive-re il mio grande fondatore», san Francesco d’Assisi. Sapevo che la spiritualità di C. Lubich era un dono dello Spirito per il nostro tempo e ne avvertivo la ricchezza tenendomi in contatto con lei, ma non mi aspettavo che in quella occasione il suo augurio fosse così concreto e azzeccato, visto il cammino che mi portò a dire il mio “sì” a Dio che mi ha scelto. Certo, ora potevo puntare ad essere un altro Cristo, non più fidandomi delle mie sole forze come pensavo prima, ma rimanendo disponibile a ciò che Dio voleva da me suo sacerdote, al servizio di tutti senza sottomettermi a nessuno.Con il sacerdozio il ritmo della mia vita aumentò: scuola di religione alle superiori, trasmissioni alla radio locale, riunioni giovanili, cam-peggi, catechismo per i cresimandi, diversi spettacoli teatrali e musicali, molte altre iniziative zonali e diocesane... Per questi motivi dovetti la-sciare, pur essendo vicino al diploma, lo studio della chitarra classica.

L’Africa ti aspetta
Non passò molto tempo, quando un altro dialogo segnò un’ulteriore tappa della mia vita. Da Roma venne a trovarmi P. Bonaventura Mari-nelli, allora Consigliere Generale del mio Ordine Cappuccino. Era il 30 agosto del ’80 e dopo i primi convenevoli volle che ci ritirassimo in una stanza del convento per parlarmi. Lì mi chiese se ero disposto ad andare nella Repubblica Centrafricana per la formazione dei giovani africani che chiedevano di farsi cappuccini. Di fronte a questa inaspet-tata richiesta, mi concentrai per un istante e mi dissi: «anche se non ho mai pensato di fare il missionario, tuttavia, nulla mi impedisce di dirgli di sì». Risposi: «ok, ci vado!». Subito dopo fui assalito dalle conse-guenze pratiche di tale decisione: lasciare la propria casa, la propria ter-ra, il proprio paese, gli amici e… partire. Inoltre, erano molteplici le iniziative che avevo avviato e qualcosa stava maturando. Proprio ora che potevo goderne i frutti, dovevo lasciare tutto! Un nodo mi serrò al-la gola, ma avvertivo che la chiamata di Dio era più forte dei miei timo-ri. Sei mesi dopo ero in volo per Parigi, dove conseguii il diploma di lingua francese. Poi, dopo essermi incontrato con il Ministro Generale per conoscere le sue intenzioni, mi dedicai ai preparativi. Una settimana prima della partenza un telegramma mi avvertiva che il baule con tutti i miei oggetti personali, compresa la mia amata chitarra, erano stati deru-bati. Era rimasto solo il mio camice da prete tutto rovinato. «Che bel impatto!». Ricostruii in fretta un minimo di corredo e partii con il volo previsto. Solo e pensieroso, in quel viaggio mi misi a cronometrare il momento in cui l’aereo toccò il suolo africano: era il 4 marzo 1981 alle ore 17,36. Capivo che da quel istante in poi si voltava pagina. In Africa non mancarono le gioie mescolate alle sofferenze, nemme-no i colpi di scena che giorno dopo giorno accrescevano le responsabi-lità fino al punto di trovarmi maestro dei novizi. Amavo sinceramente quei ragazzi. Mi immedesimavo nella loro cultura. Capivo che loro avevano tante cose da dirmi e si aspettavano molto da me. Insomma, Dio mi aveva condotto in mezzo alla povertà africana, per farmi fare la più bella esperienza di fratellanza universale. Non c’è oro al mondo che paghi il valore dei rapporti schietti e sinceri. Al contrario, questi si ri-pagano con la capacità di sapersi sacrificare per amore. Certo, è stato un caro prezzo, ma alla fine mi ha fatto scoprire l’importanza di essere una persona/dono e, così, diventi per gli altri un’espressione di «amore in forma di misericordia, l’amore che fa allargare cuore e braccia ai mise-rabili, ai pezzenti, agli straziati della vita, ai peccatori pentiti». Nella mia vita due furono i momenti in cui piansi profondamente: il primo fu a 12 anni, la sera prima di partire per entrare in seminario; il secondo fu a 35 anni, quando capii la profondità di questo amore di misericordia che contrastava con la superficialità di tanti miei atteggiamenti che rite-nevo giusti, perfino in nome di Dio. Quanto sarebbe diversa la nostra vita, se ci fosse un pizzico di umiltà in più!Si sa che la storia di ogni vocazione è imprevedibile, perché il dise-gno non è nella mente degli uomini, ma in quella di Dio. Ritornato dall’Africa (15/10/1984) inizialmente pensai alla mia precaria salute e poi mi misi a disposizione dei miei superiori, pregandoli di non man-darmi nelle parrocchie e tanto meno negli ospedali. Dicevo loro che non mi sentivo adatto per questi apostolati, preferivo invece la predica-zione, o le missioni al popolo. Infatti, in questo campo mi sono trovato molto bene ancora quand’ero giovane sacerdote. 

Ero malato e mi hai visitato
Nell’attesa di una sistemazione definitiva, i superiori mi chiesero un piccolo sacrificio: sostituire per un mese un confratello nell’ospedale di Mirano (VE). Quando si tratta di fare un piacere non si deve dire mai di no! Ebbene, quel mese durò più di 10 anni. Oggi, posso affermare con convinzione che quegli anni di servizio accanto a persone sofferenti mi hanno convertito. Qui gli aneddoti si moltiplicano. Fra i tanti ricordo un giorno in cui avvertivo tutta la fatica nel dovermi recare in reparto dove i pazienti erano in gran parte malati tumorali. Volevo tornare in-dietro e rimandare la visita al giorno dopo. Le scuse erano buone: Cosa vado a fare? Cosa vado a dire? Cosa pensano se mi vedono arrivare? Forse si spaventano nel vedere il prete? Allora, lungo il tragitto rientrai in me stesso. Mi ritrovai in chiesa e dissi: Gesù aiutami! Mi venne nell’anima una risposta semplicissima: «Tu fallo per me. Guarda: non devi fare nulla. Lasciati guidare dal cuore. Ama e basta!».Ritornai sui miei passi e incominciai con fatica ad avvicinare uno ad uno quei pazienti senza fretta, ascoltandoli e congedandomi da loro so-lo dopo che un gesto, un sorriso, o una parola di commiato mi davano la conferma che la mia visita era stata gradita. Terminai quella visita che mi sentivo leggero come una piuma ed una grande gioia mi inondava il cuore. Sono tuttora convinto che quella gioia veniva da Gesù presente in quei malati. Gesù, a suo modo, mi ringraziava per essere andato a trovarLo. 
Ma aldilà di me, fui sorpreso nel sapere che anche il personale sanita-rio era desideroso di motivare umanamente e spiritualmente il proprio servizio, oltre ad ogni etichetta religiosa o laica.Nacquero così le collaborazioni tra il Servizio di Assistenza Religio-sa e i diversi reparti di degenza, presero il via i corsi di aggiornamento di etica sanitaria, che poi furono pubblicati, i tirocini di pastorale sani-taria svolti dagli studenti di teologia, la costituzione della associazione di volontariato ospedaliero (AVO), il consiglio pastorale ospedaliero, una collaborazione con le parrocchie della zona. Ma si profilarono an-che aperture nuove che incisero a livello nazionale, sia attraverso il Se-gretariato della Pastorale della Salute dei Cappuccini, che tramite l’Associazione Nazionale di Pastorale Sanitaria (AIPAS).Durante questa esperienza, per rendermi più utile e motivato scienti-ficamente, mi iscrissi all’università di Roma che offre una specializza-zione in teologia applicata alla sanità. Per due anni, tutte le settimane, feci la spola Mirano-Roma e Roma-Mirano per frequentare le lezioni e per prendere servizio in ospedale. Conseguita all’età di 45 anni la spe-cializzazione, aumentarono pure le richieste di corsi e conferenze, ma soprattutto fui esortato dal Ministro Generale, dai miei professori uni-versitari e da persone stimate, a portare a termine gli studi accademici con una tesi di dottorato. Inizialmente resistetti a questa proposta – non avevo più vent’anni – ma poi acconsentii, allettato anche dall’idea che lo studio sul servizio dei malati fatto dai Cappuccini era un campo an-cora inesplorato e, quindi, poteva essere utile in futuro per rilanciare questo fecondo apostolato dell’Ordine cappuccino e per la Chiesa. 
Fu un periodo molto duro che registra 22 mesi di intenso lavoro diurno e notturno, più due mesi di studio dell’inglese, tre mesi di ma-lattia per grave incidente stradale, altri tre trascorsi nel Veneto... L’aver consegnato la corposa tesi dottorale di 650 pp. nella segreteria universi-taria (maggio 1998) ed averla difesa (12 /10/98) fu un vero miracolo, anche perché gli ostacoli non mancarono e troppe furono le circostanze che mi suggerivano di lasciar perdere. Era più che mai doveroso, inve-ce, portare a termine questo lavoro che rimarrà utile per l’Ordine, ma anche per altri che, attraverso la pubblicazione, hanno potuto confron-tarsi con questo originale studio. È certo che mia madre, deceduta in questo periodo, mi abbia sostenuto dal cielo. Da quel momento in poi, nacque una preziosa collaborazione con l’Ufficio della Pastorale della Sanità della Conferenza Episcopale Ita-liana (CEI) e con il Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, formulando, correggendo, o integrando documenti, programmi, propo-ste che venivano dal Magistero ecclesiale. Una collaborazione che tut-tora esiste.
Nella prospettiva di nuovi lidi
Terminati gli studi, per riprendermi in salute – l’incidente stradale la-sciava ancora degli strascichi – i superiori mi inviarono per un periodo di tempo nel convento della pedemontana di Pordenone (1999-2000) come confessore. In realtà al servizio di cappellano in ospedale, motivo per cui mi sono specializzato, non ci ritornai più. Fui, invece inviato di nuovo a Portogruaro (2000-2001) col compito di evangelizzatore che mi riconduceva ai miei vecchi amori. Accettai subito con entusiasmo, forte anche della mia maturità e competenza in teologia pastorale, anche se poi, di fatto, non ho esercitato questo servizio. Si profilarono altri lidi lontani: Grecia, Ungheria e di nuovo l’Africa. Ma fra tutti emerse l’esigenza di poter offrire un contributo a tempo pieno alla Conferenza Italiana dei Ministri Provinciali Cappuccini (CIMP Cap). Questo ri-chiedeva di trasferirmi a Roma (Garbatella) per svolgere l’ufficio di Vi-cesegretario e di economo (2001) della Conferenza. Sette mesi più tar-di, l’ufficio del Segretario rimase vacante e l’Assemblea dei Ministri provinciali mi scelse all’unanimità come Segretario nazionale (3/06/2002). In questo periodo, che è durato fino al 1 agosto 2011, ci sono stati due eventi che possono essere difiniti storici: nel 2013 il Capitolo delle stuoie di tutte le Province Cappuccine dell’Italia che si è tenuto ad Assisi e che ha registrato la presenza di oltre 450 cappuccini; nel 2009 il Capitolo Internazionale delle Stuoie dei francescano di tutto il mondo, con la presenza di 2000 frati. Il Capitolo nazionale dei Cappuccini italiani del 2003 ha segnato una svolta importante nel cammino di collaborazione ed unificazione delle provincie italiane, ancora troppo chiuse in se stesse. Mentre il Capitolo Internazionale delle Stuoie, che affondava le radici nel Capitolo delle Stuoie indetto da san Francesco che risale a 800 anni, ha attivato alcuni significativi progressi in tutta la famiglia francescana, che si è sentita unita e compatta attorno al suo unico fondatore. Le famiglie francescane del 1° Ordine si sono sentite veramente sorelle e si sono recate dal Pontefice, Benedetto XVI rinnovando ad una voce sola la promessa di vivere da veri figli di san Francesco. Nel frattempo ci furono due eventi che mi hanno segnato: la morte di mio papà Giuseppe (tutti lo chiamavano Bepi) e la morte di Chiara Lubich (tutti la chiamavano semplicemente Chiara). Queste due persone sono ancor oggi costantemente presenti nella mia vita. Per Chiara mi fu chiesto di prestarmi per organizzare la liturgia funebre. I funerali che si sono svolti nella basilica di san Paolo fuori le mura, quindi vicino a casa mia, ha registrato la presenza di circa 20 mila persone. Al di là di questo evento così grandioso e di distacco, ho sperimentato in quei giorni una grande pace nell’anima che mi permetteva di vivere costantemente per gli altri. Dopo dieci anni e tre rinnovi di questo intenso e movimentato servizio di segretario nazionale, accolsi la proposta del Ministro Provinciale di assumermi il servizio di Guardiano (Superiore) del convento dei Cappuccini di Villafranca di Verona. Partii con entusiasmo verso il nord Italia e, anche se dovevo ripartire da zero con una comunità quasi totalmente rinnovata, sentivo che, finalmente ritornavo ad occuparmi di pastorale. Questa volta, però, avevo una sola idea in testa: agire e promuovere qualsiasi iniziativa con l’accordo, per quanto possibile, di tutta la mia fraternità; e, anche se non sono mancate le difficoltà, si può dire che questo obbiettivo è stato in parte raggiunto. Sono stati tre anni meravigliosi, quando, improvvisamente, il Consiglio provinciale ha accolto la richiesta dell’Opera di Maria (Movimento dei Focolari) di recarmi ad Albano Laziale, per mettermi a servizio del Centro dei Religiosi, dove attualmente svolgo il compito di Segretario internazionale, a servizio di quei religiosi di qualsiasi famiglia religiosa che aderiscono al carisma dell’Unità di Chiara, carisma che propone una spiritualità di comunione per tutta la Chiesa, le religioni e l’umanità; un compito che richiede una visione ampia su tutto il mondo, un compito che, se Dio vuole, terminerà nel 2020. 
Tu es sacerdos
Essere un altro Gesù, un uomo che non sa dove posare il capo, e vi-vere il mio grande fondatore, come Francesco d’Assisi che è stato sem-pre itinerante per il mondo, a 40 anni di distanza continua ad essere un impegno duro e gravoso, ma mette il cuore in pace e lascia la coscienza tranquilla. Posso dire che non ho mai fatto quello che ho voluto, ma ho cercato solo la volontà di Dio. Ora sento di essere come il “servo inuti-le” del Vangelo che cerca di far spazio a Dio dentro di sé, di non con-trapporsi mai alla sua volontà, contento di essere un suo ser-vo/sacerdote. Oggi rinnovo il mio desiderio di continuare a servire il Signore e, con la sua grazia, spero per gli anni che mi rimangono di ri-manerGli fedele “per sempre”. 
Portogruaro (VE), 22 ottobre 2017.



Ripercorrendo quarant’anni di sacerdote

Steffan Mariano
Ordine dei Frati Minori Cappuccini
-Racconto autobiografico -


Guardando, fotogramma dopo fotogramma, ai 40 anni di sacerdote sono colmo di meraviglia, non solo per il fatto che sono passati in un baleno, ma soprattutto perché nei fatti che mi sono accaduti ho avvertito di essere stato toccato dall’amore di Dio. Faccio solo qualche accenno.

Il sacerdozio: una delicata richiesta di Dio per un servizio

Terminata la teologia ero stato mandato con sei dei miei compagni di corso a Portogruaro (VE) per una nuova esperienza di fraternità. Erano passati due anni e a differenza dei miei compagni non ero stato ordinato sacerdote. Questo non per ragioni di crisi, ma perché da qualche anno stavo facendo una profonda riscoperta di san Francesco e del suo rapporto con Cristo crocifisso; un rapporto fondamentale, esistenziale ed utile per ben impostare la mia vocazione francescana.
Durante il periodo natalizio del 1976-77 avvertivo in me un cambiamento. Padre Flavio Roberto Carraro, Ministro provinciale di allora, era venuto a Portogruaro per incontrare la fraternità. Nel colloquio personale che ebbi con lui in febbraio gli comunicai il mio cambiamento interiore incominciato la sera del 28 dicembre ’76.
Perfezionista qual ero, non ammettevo sconti tra me e Dio. Pensavo, infatti, che se Dio mi voleva francescano, dovevo dimostrarlo con la vita e non a parole! La stessa cosa vale per chi chiede di diventare prete. «Non devi – mi dicevo – farti consacrare se non sei veramente un “alter Christus”, un altro Gesù! E poi, vedi che anche tra i giovani sacerdoti, qualcuno è già in crisi». Perciò, con tutte le mie forze m’impegnavo a vivere il Vangelo, come suggerisce san Francesco nelle prime righe della sua Regola. Il sacerdozio non era per me un obiettivo.
Tuttavia, una forte intuizione, che si potrebbe esprimere in questi termini, mise a fuoco il valore del sacerdozio: «Tu non sarai mai capace di diventare un altro Cristo. Scordatelo! Le tue forze umane, per quanto sincere, non bastano per raggiungere questo traguardo».
Amareggiato da questa evidente logica, mi chiedevo se non fosse il caso di rimanere per sempre semplice frate, o al massimo diacono, come lo fu san Francesco. Ma quella intuizione, o meglio, quella voce non s’arrestò e continuò a dirmi: «È vero che nessun uomo è degno di essere sacerdote del Signore, ma è certo che il Signore si serve di uomini per far arrivare la sua grazia all’umanità. Quando un sacerdote consacra l’ostia, quell’ostia è il Corpo di Cristo e non viene sminuita dalla più o meno evidente santità di quel povero prete. Quando un sacerdote, pure lui peccatore, assolve, è Dio che assolve e gli effetti del perdono di Dio non dipendono dalla santità di quel sacerdote, ma vengono direttamente da Dio. Certo! Se il sacerdote è un santerello, molto meglio».
Questo ragionamento, che non svilisce le mediazioni sacerdotali ma riconduce direttamente a Dio che è Amore, demoliva gradualmente dentro di me un’idea assai comune in quell’epoca sessantottina: la Chiesa con i suoi sacerdoti non godeva della stima dei cristiani e soprattutto dei giovani. Capivo, invece, che non dovevo fermarmi a guardare i sacerdoti, pur uomini e peccatori, altrimenti perdevo la cosa più importante: la bellezza dell’amore di Dio che non può essere inquinato dalla poca fedeltà degli uomini.
Sotto la spinta del mio confessore, fece breccia in me il pensiero che nulla mi impediva di accedere all’ordinazione sacerdotale. Infatti, dov’erano gli ostacoli? Forse i limiti umani, o il carattere? Oppure, le mie incapacità intellettuali, o teologiche? Direi di più: nemmeno la mia miseria spirituale non era più un ostacolo! Il Signore delicatamente mi chiedeva il consenso di potersi servire di me per far arrivare il suo Amore benefico e salvifico a tutti gli uomini e donne che incontravo. Mentre in quel colloquio personale raccontavo tutto ciò a Padre Flavio, gli chiesi infine di poter accedere al sacerdozio. Ricordo che, dopo avermi ascoltato, mi disse con commozione: «È proprio vero! Bisogna saper rispettare i tempi di Dio!».



Da sinistra: Mons Flavio Roberto Carraro, Mons. Abramo Freschi, vescovo di Concordia/Pordenone 
nel giorno della mia ordinazione sacerdotale avvenuta il 18 giugno 1977.

Sul “nulla” di me, l’ordinazione sacerdotale

Le successive tappe erano ormai cosa fatta. Il 12 marzo del ’77 fui ordinato diacono da Mons. Abramo Freschi nella sua cappella privata a Pordenone. Il 18 giugno lo stesso vescovo mi ordinò sacerdote. Ormai, non vedevo l’ora di essere sacerdote e quando finalmente arrivò il giorno dell’ordinazione, attendevo con impazienza l’arrivo del Vescovo che si fece vedere qualche istante prima della cerimonia. Gli andai incontro ed invece di baciargli l’anello, mi profusi in uno spontaneo abbraccio. Più tardi mi accorsi che, forse, non era quello il modo di salutare il mio vescovo. Dovevo almeno baciargli l’anello. Avevo fatto una gaffe e dovevo in qualche modo rimediare. Questo pensiero mi tormentò, specialmente al termine della cerimonia, tanto che, quando fui invitato a dire qualcosa alla gente che assiepava la chiesa, fui colto di sorpresa e non feci altro che esprimere le mie scuse al Vescovo, perché invece di baciargli l’anello gli diedi un abbraccio. Queste scuse, dette con serietà, provocarono una plateale risata. In verità, mi ero preso troppa confidenza, ma il vescovo mi tranquillizzò, dicendomi: «No, no! Hai fatto bene. Si fa così con il proprio Vescovo».
Chiara Lubich, fondatrice dell’Opera di Maria (Movimento
dei Focolari). L’Opera, approvata dalla Chiesa nel 1990
annovera tra i suoi membri consacrate e consacrati
a vita comune, laiche e laici che vivono un cristianesimo
impegnato, religiose e religiosi, sacerdoti, vescovi.
Comunque, la frase che diede il tono alla mia ordinazione fu pronunciata al prefazio quando dissi: «Ti ringrazio, Signore, perché mi hai accettato così come sono e mi hai fatto capire che dovevo accettarmi così». Dentro di me si era verificata una specie di alleanza con Dio; una alleanza espressa molto bene in un telegramma inviato da Chiara Lubich per la circostanza. Mi augurava di «essere un altro Gesù e di vivere il mio grande fondatore», san Francesco d’Assisi.
Sapevo che la spiritualità di C. Lubich era un dono dello Spirito per il nostro tempo e ne avvertivo la ricchezza tenendomi in contatto con lei, ma non mi aspettavo che in quella occasione il suo augurio fosse così concreto e azzeccato, visto il cammino che mi portò a dire il mio “sì” a Dio che mi ha scelto. Certo, ora potevo puntare ad essere un altro Cristo, non più fidandomi delle mie sole forze come pensavo prima, ma rimanendo disponibile a ciò che Dio voleva da me suo sacerdote, al servizio di tutti senza sottomettermi a nessuno.
Con il sacerdozio il ritmo della mia vita aumentò: scuola di religione alle superiori, trasmissioni alla radio locale, riunioni giovanili, campeggi, catechismo per i cresimandi, diversi spettacoli teatrali e musicali, molte altre iniziative zonali e diocesane... Per questi motivi dovetti lasciare, pur essendo vicino al diploma, lo studio della chitarra classica.


L’Africa ti aspetta

Lo stato della Repubblica del Centrafrica
si trova proprio al centro dell'Africa
tra l'equatore e il deserto del Sahara.
Non passò molto tempo, quando un altro dialogo segnò un’ulteriore tappa della mia vita. Da Roma venne a trovarmi P. Bonaventura Marinelli, allora Consigliere Generale del mio Ordine Cappuccino. Era il 30 agosto del ’80 e dopo i primi convenevoli volle che ci ritirassimo in una stanza del convento per parlarmi. Lì mi chiese se ero disposto ad andare nella Repubblica Centrafricana per la formazione dei giovani africani che chiedevano di farsi cappuccini. Di fronte a questa inaspettata richiesta, mi concentrai per un istante e mi dissi: «anche se non ho mai pensato di fare il missionario, tuttavia, nulla mi impedisce di dirgli di sì». Risposi: «ok, ci vado!». Subito dopo fui assalito dalle conseguenze pratiche di tale decisione: lasciare la propria casa, la propria terra, il proprio paese, gli amici e… partire. Inoltre, erano molteplici le iniziative che avevo avviato e qualcosa stava maturando. Proprio ora che potevo goderne i frutti, dovevo lasciare tutto! Un nodo mi serrò alla gola, ma avvertivo che la chiamata di Dio era più forte dei miei timori.
Sei mesi dopo ero in volo per Parigi, dove conseguii il diploma di lingua francese. Poi, dopo essermi incontrato con il Ministro Generale per conoscere le sue intenzioni, mi dedicai ai preparativi. Una settimana prima della partenza un telegramma mi avvertiva che il baule con tutti i miei oggetti personali, compresa la mia amata chitarra, erano stati derubati. Era rimasto solo il mio camice da prete tutto rovinato. «Che bel impatto!». Ricostruii in fretta un minimo di corredo e partii con il volo previsto. Solo e pensieroso, in quel viaggio mi misi a cronometrare il momento in cui l’aereo toccò il suolo africano: era il 4 marzo 1981 alle ore 17,36. Capivo che da quel istante in poi si voltava pagina.
In Africa non mancarono le gioie mescolate alle sofferenze, nemmeno i colpi di scena che giorno dopo giorno accrescevano le responsabilità fino al punto di trovarmi maestro dei novizi.
Amavo sinceramente quei ragazzi. Mi immedesimavo nella loro cultura. Capivo che loro avevano tante cose da dirmi e si aspettavano molto da me. Insomma, Dio mi aveva condotto in mezzo alla povertà africana, per farmi fare la più bella esperienza di fratellanza universale. Non c’è oro al mondo che paghi il valore dei rapporti schietti e sinceri. Al contrario, questi si ripagano con la capacità di sapersi sacrificare per amore. Certo, è stato un caro prezzo, ma alla fine mi ha fatto scoprire l’importanza di essere una persona/dono e, così, diventi per gli altri un’espressione di «amore in forma di misericordia, l’amore che fa allargare cuore e braccia ai miserabili, ai pezzenti, agli straziati della vita, ai peccatori pentiti». Nella mia vita due furono i momenti in cui piansi profondamente: il primo fu a 12 anni, la sera prima di partire per entrare in seminario; il secondo fu a 35 anni, quando capii la profondità di questo amore di misericordia che contrastava con la superficialità di tanti miei atteggiamenti che ritenevo giusti, perfino in nome di Dio. Quanto sarebbe diversa la nostra vita, se ci fosse un pizzico di umiltà in più!
Si sa che la storia di ogni vocazione è imprevedibile, perché il disegno non è nella mente degli uomini, ma in quella di Dio. Ritornato dall’Africa (15/10/1984) inizialmente pensai alla mia precaria salute e poi mi misi a disposizione dei miei superiori, pregandoli di non mandarmi nelle parrocchie e tanto meno negli ospedali. Dicevo loro che non mi sentivo adatto per questi apostolati, preferivo invece la predicazione, o le missioni al popolo. Infatti, in questo campo mi sono trovato molto bene ancora quand’ero giovane sacerdote.


Ero malato e mi hai visitato

Mons. P. Magnani, vescovo di Treviso, in visita canonica all’ospedale
di Mirano accompagnato dalla équipe medica e dal cappellano .
Nell’attesa di una sistemazione definitiva, i superiori mi chiesero un piccolo sacrificio: sostituire per un mese un confratello nell’ospedale di Mirano (VE). Quando si tratta di fare un piacere non si deve dire mai di no! Ebbene, quel mese durò più di 10 anni. Oggi, posso affermare con convinzione che quegli anni di servizio accanto a persone sofferenti mi hanno convertito. Qui gli aneddoti si moltiplicano. Fra i tanti ricordo un giorno in cui avvertivo tutta la fatica nel dovermi recare in reparto dove i pazienti erano in gran parte malati tumorali. Volevo tornare indietro e rimandare la visita al giorno dopo. Le scuse erano buone: Cosa vado a fare? Cosa vado a dire? Cosa pensano se mi vedono arrivare? Forse si spaventano nel vedere il prete? Allora, lungo il tragitto rientrai in me stesso. Mi ritrovai in chiesa e dissi: Gesù aiutami! Mi venne nell’anima una risposta semplicissima: «Tu fallo per me. Guarda: non devi fare nulla. Lasciati guidare dal cuore. Ama e basta!».
Ritornai sui miei passi e incominciai con fatica ad avvicinare uno ad uno quei pazienti senza fretta, ascoltandoli e congedandomi da loro solo dopo che un gesto, un sorriso, o una parola di commiato mi davano la conferma che la mia visita era stata gradita. Terminai quella visita che mi sentivo leggero come una piuma ed una grande gioia mi inondava il cuore. Sono tuttora convinto che quella gioia veniva da Gesù presente in quei malati. Gesù, a suo modo, mi ringraziava per essere andato a trovarLo.
Con il Prof. Zichicchi ed altri amici in uno dei
tanti convegni sulla Pastorale della Salute.
Ma aldilà di me, fui sorpreso nel sapere che anche il personale sanitario era desideroso di motivare umanamente e spiritualmente il proprio servizio, oltre ad ogni etichetta religiosa o laica.
Nacquero così le collaborazioni tra il Servizio di Assistenza Religiosa e i diversi reparti di degenza, presero il via i corsi di aggiornamento di etica sanitaria, che poi furono pubblicati, i tirocini di pastorale sanitaria svolti dagli studenti di teologia, la costituzione della associazione di volontariato ospedaliero (AVO), il consiglio pastorale ospedaliero, una collaborazione con le parrocchie della zona. Ma si profilarono anche aperture nuove che incisero a livello nazionale, sia attraverso il Segretariato della Pastorale della Salute dei Cappuccini, che tramite l’Associazione Nazionale di Pastorale Sanitaria (AIPAS).
Durante questa esperienza, per rendermi più utile e motivato scientificamente, mi iscrissi all’università di Roma che offre una specializzazione in teologia applicata alla sanità. Per due anni, tutte le settimane, feci la spola Mirano-Roma e Roma-Mirano per frequentare le lezioni e per prendere servizio in ospedale. Conseguita all’età di 45 anni la specializzazione, aumentarono pure le richieste di corsi e conferenze, ma soprattutto fui esortato dal Ministro Generale, dai miei professori universitari e da persone stimate, a portare a termine gli studi accademici con una tesi di dottorato. Inizialmente resistetti a questa proposta – non avevo più vent’anni – ma poi acconsentii, allettato anche dall’idea che lo studio sul servizio dei malati fatto dai Cappuccini era un campo ancora inesplorato e, quindi, poteva essere utile in futuro per rilanciare questo fecondo apostolato dell’Ordine cappuccino e per la Chiesa.
La difesa della tesi di dottorato dal titolo: Curate gli infermi. Costanti profetiche tra memoria storica e nuove prospettive nei Cappuccini. Da sinistra: Prof. L. Sandrin, camilliano, Preside dell’Istituto Teologico “Camillianum” e 2° correlatore; Prof. G. Cimà, camilliano, relatore; il Prof. M. Midali, Pontificio Ateneo Salesiano, 1° correlatore.

Fu un periodo molto duro che registra 22 mesi di intenso lavoro diurno e notturno, più due mesi di studio dell’inglese, tre mesi di malattia per grave incidente stradale, altri tre trascorsi nel Veneto... L’aver consegnato la corposa tesi dottorale di 650 pp. nella segreteria universitaria (maggio 1998) ed averla difesa (12 /10/98) fu un vero miracolo, anche perché gli ostacoli non mancarono e troppe furono le circostanze che mi suggerivano di lasciar perdere. Era più che mai doveroso, invece, portare a termine questo lavoro che rimarrà utile per l’Ordine, ma anche per altri che, attraverso la pubblicazione, hanno potuto confrontarsi con questo originale studio. È certo che mia madre, deceduta in questo periodo, mi abbia sostenuto dal cielo.

Francesca Da Dalt in Steffan,
1911-1996. Mia madre.
Con Giovanni Paolo II il 12/05/2001 a conclusione del 
Congresso CEI sulla Pastorale della sanità
Da quel momento in poi, nacque una preziosa collaborazione con l’Ufficio della Pastorale della Sanità della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e con il Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, formulando, correggendo, o integrando documenti, programmi, proposte che venivano dal Magistero ecclesiale. Una collaborazione che tuttora esiste.

Nella prospettiva di nuovi lidi

Terminati gli studi, per riprendermi in salute – l’incidente stradale lasciava ancora degli strascichi – i superiori mi inviarono per un periodo di tempo nel convento della pedemontana di Pordenone (1999-2000) come confessore. In realtà al servizio di cappellano in ospedale, motivo per cui mi sono specializzato, non ci ritornai più. Fui, invece inviato di nuovo a Portogruaro (2000-2001) col compito di evangelizzatore che mi riconduceva ai miei vecchi amori. Accettai subito con entusiasmo, forte anche della mia maturità e competenza in teologia pastorale, anche se poi, di fatto, non ho esercitato questo servizio. Si profilarono altri lidi lontani: Grecia, Ungheria e di nuovo l’Africa. 
Via Pomponia Grecina 31. Roma  zona della
Garbatella che allora era sede della CIMP Cap
Ma fra tutti emerse l’esigenza di poter offrire un contributo a tempo pieno alla Conferenza Italiana dei Ministri Provinciali Cappuccini (CIMP Cap). Questo richiedeva di trasferirmi a Roma (Garbatella) per svolgere l’ufficio di Vicesegretario e di economo (2001) della Conferenza. Sette mesi più tardi, l’ufficio del Segretario rimase vacante e l’Assemblea dei Ministri provinciali mi scelse all’unanimità come Segretario nazionale (3/06/2002).
In questo periodo, che è durato fino al 1 agosto 2011, ci sono stati due eventi che possono essere difiniti storici: nel 2013 il Capitolo delle stuoie di tutte le Province Cappuccine dell’Italia che si è tenuto ad Assisi e che ha registrato la presenza di oltre 450 cappuccini; nel 2009 il Capitolo Internazionale delle Stuoie dei francescano di tutto il mondo, con la presenza di 2000 frati.
Il Capitolo nazionale dei Cappuccini italiani del 2003 ha segnato una svolta importante nel cammino di collaborazione ed unificazione delle provincie italiane, ancora troppo chiuse in se stesse. Mentre il Capitolo Internazionale delle Stuoie (vedi foto), che affondava le radici nel Capitolo delle Stuoie indetto da san Francesco che risale a 800 anni, ha attivato alcuni significativi progressi in tutta la famiglia francescana, che si è sentita unita e compatta attorno al suo unico fondatore. Le famiglie francescane del 1° Ordine si sono sentite veramente sorelle e si sono recate dal Pontefice, Benedetto XVI rinnovando ad una voce sola la promessa di vivere da veri figli di san Francesco.


Steffan Giuseppe, 1909-2005.
El sior Bepi, mio Padre
Nel frattempo ci furono due eventi che mi hanno segnato: la morte di mio papà Giuseppe (tutti lo chiamavano Bepi) e la morte di Chiara Lubich (tutti la chiamavano semplicemente Chiara).
Un momento della celebrazione funebre di Chiara Lubich
Queste due persone sono ancor oggi costantemente presenti nella mia vita. Per Chiara mi fu chiesto di prestarmi per organizzare la liturgia funebre. I funerali che si sono svolti nella basilica di san Paolo fuori le mura, quindi vicino a casa mia, ha registrato la presenza di circa 20 mila persone. Al di là di questo evento così grandioso e di distacco, ho sperimentato in quei giorni una grande pace nell’anima che mi permetteva di vivere costantemente per gli altri.
Dopo dieci anni e tre rinnovi di questo intenso e movimentato servizio di segretario nazionale, accolsi la proposta del Ministro Provinciale di assumermi il servizio di Guardiano (Superiore) del convento dei Cappuccini di Villafranca di Verona. Partii con entusiasmo verso il nord Italia e, anche se dovevo ripartire da zero con una comunità quasi totalmente rinnovata, sentivo che, finalmente ritornavo ad occuparmi di pastorale. Questa volta, però, avevo una sola idea in testa: agire e promuovere qualsiasi iniziativa con l’accordo, per quanto possibile, di tutta la mia fraternità; e, anche se non sono mancate le difficoltà, si può dire che questo obbiettivo è stato in parte raggiunto. Sono stati tre anni meravigliosi, quando, improvvisamente, il Consiglio provinciale ha accolto la richiesta dell’Opera di Maria (Movimento dei Focolari) di recarmi ad Albano Laziale, per mettermi a servizio del Centro dei Religiosi, dove attualmente svolgo il compito di Segretario internazionale, a servizio di quei religiosi di qualsiasi famiglia religiosa che aderiscono al carisma dell’Unità di Chiara, carisma che propone una spiritualità di comunione per tutta la Chiesa, le religioni e l’umanità; un compito che richiede una visione ampia su tutto il mondo, un compito che, se Dio vuole, terminerà nel 2020.

Tu es sacerdos

Essere un altro Gesù, un uomo che non sa dove posare il capo, e vivere il mio grande fondatore, come Francesco d’Assisi che è stato sempre itinerante per il mondo, a 40 anni di distanza continua ad essere un impegno duro e gravoso, ma mette il cuore in pace e lascia la coscienza tranquilla. Posso dire che non ho mai fatto quello che ho voluto, ma ho cercato solo la volontà di Dio. Ora sento di essere come il “servo inutile” del Vangelo che cerca di far spazio a Dio dentro di sé, di non contrapporsi mai alla sua volontà, contento di essere un suo servo/sacerdote. Oggi rinnovo il mio desiderio di continuare a servire il Signore e, con la sua grazia, spero per gli anni che mi rimangono di rimanerGli fedele “per sempre”.

Portogruaro (VE), 22 ottobre 2017.